Stefano Bartezzaghi e i labirinti della biblioteca di Umberto Eco
Nella Sala Verdi del Teatro della Fortuna di Fano, sabato 15 ottobre, poco dopo l’attesa intervista di Giorgio Zanchini a Dacia Maraini, è salito sul palco Stefano Bartezzaghi. Giornalista e scrittore, si fa già notare per la sua tesi di laurea in semiotica al DAMS di Bologna con relatore Umberto Eco.
Proprio al suo maestro ha dedicato l’intervento Memoria e patrimonio culturale a partire dalla Biblioteca di Umberto Eco. Innanzitutto Bartezzaghi ha ricordato al pubblico che Eco, prima di essere scrittore, era un semiologo. Ci sono parecchi equivoci sul Professore. Qualche mese prima della sua morte, Eco generò parecchie polemiche dichiarando che i social media danno diritto di parola a “legioni di imbecilli”. Ma non era affatto contro la tecnologia, anzi fu uno dei primi ad usare il computer e diede vita anche a un web-magazine, Il Golem.
La biblioteca di Umberto Eco è diventata un mito (si dice contenga circa 30.000 volumi distribuiti in tre case diverse). Anche il suo romanzo più famoso, Il nome del rosa, ruota attorno a una misteriosa biblioteca, custodita da un frate cieco. Quando cominciò a scriverlo, Eco, si rese conto che avrebbe dovuto confrontarsi con la biblioteca di un altro illustre non vedente: il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Il regista Davide Ferrario ha girato nel 2015 un documentario in tre parti su Umberto Eco. Vale la pena vederlo per provare a capire cosa può significare a livello conoscitivo perdersi in un labirinto di libri.