Il racconto di D’Orazio e la mostra per i 500 anni
URBINO – Immaginate un maestro che viene superato dal suo allievo, ma non per modo di dire. Pensate all’artista che, verso la fine del Quattrocento, era tra tutti il più richiesto da parte dei ricchi committenti e figuratevelo mentre scopre che è proprio il suo allievo a essere diventato il vero maestro. In questi termini lo storico dell’arte Costantino D’Orazio parla del rapporto tra Perugino e Raffaello. “Il giovane pittore urbinate imparò le tecniche nella bottega del padre e subito dopo guardò all’opera di Perugino. Ma ci volle ben poco per distaccarsene e superarlo – spiega – E così Perugino scriveva a quelli che erano stati i suoi committenti chiedendo perché non gli chiedevano più opere”.
L’ultima giornata del Festival del Giornalismo Culturale, nel Salone del Trono di Palazzo Ducale, ha regalato al pubblico la possibilità di visitare la mostra, organizzata per i 500 anni dalla morte del “divin pittore” e inaugurata il 3 ottobre, dal titolo “Raffaello e gli amici di Urbino”. Un’occasione per ripensare alla carriera dell’artista che fece del superamento dei modelli e dell’innovazione il suo punto di forza.
“Urbino dovrebbe quasi cambiare il suo nome e diventare per tutti ‘la città di Raffaello’ – afferma orgoglioso Peter Aufreiter, il direttore uscente della Galleria Nazionale delle Marche – alcune città straniere lo fanno quando vogliono elogiare un ‘figlio importante’. Cambiano nome in suo onore. Noi non possiamo, ma vorremmo..”.
Lo storico d’arte Costantino D’Orazio, autore del saggio Raffaello Segreto, spiega da subito il motivo del relativo insuccesso del pittore urbinate: “Raffaello è un maestro grandissimo ma oggi non gode dello stesso successo commerciale di un Caravaggio, di un Leonardo o di Michelangelo”. Se si considera il numero di visitatori che vanno alle mostre, Raffaello si trova al quarto posto della classifica “perché noi oggi siamo abituati a prestare più attenzione alle iniziative culturali che abbiano una comunicazione molto sintetica, puntuale e fortemente emotiva mentre Raffaello è un artista molto narrativo, non è iconico né icastico”.
Di lui non viene quasi mai raccontata la morte, come fa notare D’Orazio. Gli studiosi credono che sia avvenuta dopo aver passato due o tre giorni d’amore con una donna che gli attaccò una malattia venerea mortale. Giorgio Vasari, storico d’arte del cinquecento, lo raccontò alla fine della biografia di Raffaello sottolineando che papa Leone X aveva promesso al pittore la nomina di cardinale. “Parlare di un uomo che stava per essere cardinale ma che ha preferito morire d’amore potrebbe funzionare – sostiene D’Orazio, provocando il pubblico – Giulia de Lellis farebbe subito una storia su Instagram e renderebbe Raffaello l’idolo di tutte le ragazze”. Secondo lo storico d’arte, il pittore dovrebbe essere raccontato anche così, senza però tradire la verità storica.
“Raffaello è l’uomo che sfida i grandi maestri senza paura” dice D’Orazio e proietta sullo schermo alcune opere per spiegare, in poco tempo, qualcosa che avrebbe bisogno di un’infinità di ora perché si parla di un pittore che “vive un cambio di generazione nella storia dell’arte e al tempo stesso lo rappresenta”. Segnala, nelle immagini proiettate nel salone del Trono, le influenze che ebbe l’opera di Perugino e quella successiva di Caravaggio e Michelangelo. Presenta al pubblico due quadri (la Crocifissione e la Trasfigurazione), una del 1503 e l’altra del 1520, per rendere visibile il percorso della carriera di Raffaello.”Sembrano quadri fatti da due persone diverse”, commenta.
Un artista che non teme il cambiamento, appunto. Secondo il critico d’arte, lo si può affermare anche partendo dal confronto tra Lo sposalizio della Vergine di Perugino e quello dell’urbinate. “Raffaello fa delle scelte che sono più moderne rispetto al maestro che era al tempo il primo artista italiano. Raffaello osa”, spiega D’Orazio. Per illustrare questo coraggio mostra le due composizioni: il sacerdote disegnato da Perugino è simmetrico rispetto all’asse mentre nell’opera di Raffaello il gesto del sacerdote innesca un moto più circolare nel gruppo alla sinistra dell’osservatore.
L’artista sarà premiato per questo coraggio. “Quando nel 1508 arriva senza avere quasi alcun contatto della città, Raffaello trova tanti altri artisti che lavorano nelle stesse stanze vaticane – racconta D’Orazio – Subito mette alla prova la sua abilità perché aveva prodotto tante tele ma pochissimi affreschi e dimostra di saper gestire un corpo architettonico e la costruzione nello spazio”. Così il cantiere viene affidato a proprio al più giovane e al meno conosciuto perché tra tutti era il più capace nel percepire la novità. “Senza questa tensione verso il futuro non ci sarebbe stato il rinascimento, motore anche della costruzione del palazzo dove ci troviamo ora”, commenta.
O quelle che spiegano la composizione di un quadro: “Chi guarda un dipinto, come chi legge, lo fa partendo da sinistra in alto e in questa opera lo sguardo tra la madonna e il bambino unito al movimento delle braccia creano un cerchio, che si regge perfettamente su mille giochi geometrici. Quello di Genga invece non regge, pende a sinistra”. Le 19 opere di Raffaello, nella mostra – visitabile fino al 20 gennaio 2020 – per celebrare i suoi 500 anni, sono poste affianco a quelle dei suoi colleghi e concittadini Timoteo Viti e Gerolamo Genga (per un totale di 85 opere) e questa scelta rende ancora più immediato il talento indiscusso del maestro.