Italiani, cultura e comunicazione: il riassunto della prima giornata
Ieri, giovedì 12 ottobre, è cominciata la quinta edizione del Festival del Giornalismo Culturale con sede a Urbino e Fano e, novità di quest’anno, Pesaro. Ad aprire le danze sono stati i direttori Giorgio Zanchini e Lella Mazzoli, accompagnati dagli intermezzi musicali dal Quartetto di Conservatorio G. Rossini di Pesaro e dagli interventi di Vilberto Stocchi, Magnifico Rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo, e Carlo Ossola, filologo e critico letterario.
«Grazie all’esperienza maturata nelle scorse edizioni – ricorda Zanchini nel discorso di apertura – quella di quest’anno si concentrerà su due punti fondamentali: in primo luogo come i prodotti culturali – dal cartaceo all’online – abbiano parlato in passato e come parlino, oggi, di cultura, analizzando quindi quanto sia cambiato il racconto della cultura stessa sui vari mass media. In secondo luogo il metodo attraverso il quale il patrimonio culturale racconta se stesso e in che modo sia poi percepito dal pubblico». Vilberto Stocchi sottolinea invece il prestigio delle sedi che accoglieranno gli eventi dei prossimi giorni a cominciare dal Salone del Trono di Palazzo Ducale di Urbino: un’immensa sala decorata con grandi arazzi coloratissimi appesi alle pareti e situata proprio accanto al salone delle veglie che ha ospitato fin dalla seconda metà del ‘400 convegni di spiriti illustri, di cui parla lo stesso Baldassar Castiglione nel suo Cortegiano del 1506, stesso anno in cui, ricorda il Magnifico Rettore, nacque l’Università di Urbino Carlo Bo.
Giorgio Zanchini presenta poi Carlo Ossola. A salire sul palco non è solo uno dei più importanti critici letterari e filologi, ma uno dei sapienti italiani. La profondità della sua conoscenza nell’ambito della letteratura e della comunicazione ha pochi pari, e si percepisce subito. Il professor Ossola traccia le rette del suo intervento e le interseca con l’attualità: i social e la contemporaneità della nuova comunicazione. «Oggi si insegue l’evento – dice – ma questo tentativo di assoluta contemporaneità è un’illusione». Al giornalismo culturale, ricorda Ossola, spetta «Il compito di metter distanza e dare profondità di campo. Ma quindi cosa deve fare il giornalista culturale? Permettere all’evento, all’oggetto della comunicazione di brillare di luce propria. Come? Innanzitutto seguendo la virtù della chiarezza, perché è necessario rendere trasparente la complessità della cultura. Bisogna educare alla complessità raccontandola a chiare lettere, e non banalizzarla con una svilente semplificazione».
Dunque dev’essere questo il compito del giornalismo culturale: chiarificare. Compito che si fa arduo quanto necessario nel mare magnum dell’internet e dei nuovi media. Eppure l’impresa non è impossibile se ci si attiene a quelle che Ossola definisce (richiamando, tra gli altri, il tedesco Formey) le tre qualità del racconto: brevità, chiarezza e verisimiglianza. A queste, bisogna unire una forza capace di colpire anche il lettore più disattento, e la precisione, ché l’incomprensibile può solo ostacolare la fruizione culturale. Il professor Ossola, in chiusura, rievoca due grandi affinché si ergano a guide della prosa culturale: il primo è Giovanni Macchia con la sua analisi sul Corriere – datata 10 maggio 1964 – della civiltà dello sguardo, una civiltà abbagliata dal feticismo dell’occhio (affatto dissimile dall’attuale feticismo che incolla la vista sui social per ore). Mentre in chiusura, attraverso le parole di Carlo Bo, ci ricorda che «La lettura è anche fatica, e la lettura – nel fondo – finisce per essere un’introduzione alla verità – verità autonoma – a cui ogni spirito libero dà il nome che ritiene suo e ogni lettore innamorato si trova in mano un patrimonio di verità».
Solo applausi accompagnano chiusura della lectio magistralis: l’altissima caratura del suo intervento era chiara sin da subito.
A seguito della lectio del professor Ossola si è entrati nel dibattito vero e proprio. Assieme ai direttori del festival sono saliti sul palco Peter Aufreiter, direttore della Galleria Nazionale delle Marche, e Francesca Spatafora, direttrice del Museo archeologico nazionale A. Salinas. Lella Mazzoli inaugura il dibattito a partire dai dati e illustra il frutto di sette anni di ricerche sul rapporto tra gli italiani, la comunicazione dei musei e l’informazione culturale. Buone notizie arrivano dal numero dei visitatori annuali: solo il 26% degli italiani non ha visitato musei negli ultimi dodici mesi. Un buon risultato se si pensa che solo un anno scorso la percentuale ammontava al 33%.D’altra parte, i dati sulle fonti d’informazione culturale sono a tratti deludenti: il 41% degli italiani preferisce affidarsi ai propri contatti su Facebook ed, in generale, ad amici, familiari e conoscenti. Tutto a scapito di esperti, critici e professionisti. Il quadro globale, ovviamente, sottolinea la forza propulsiva dei social nella comunicazione dei musei. Non solo Facebook, ma anche Instagram e Pinterest possono aiutare gli enti culturali ad ampliare il proprio pubblico. Da questi dati, e dalla viva esperienza della direttrice del Museo archeologico nazionale A. Salinas, si accende il dibattito sulla comunicazione culturale.
Dopo il dibattito, la prima giornata del Festival del Giornalismo Culturale cambia scenografia: dal maestoso Palazzo Ducale di Urbino, si sposta alla Pescheria di Pesaro. Qui la mostra fotografica curata da Ansa “L’arte da salvare” incanta e fa riflettere sulle enormi potenzialità spesso maltrattate del patrimonio culturale italiano. Il Festival però non finisce qui: prossima tappa il Teatro Rossini di Pesaro e la Biblioteca San Giovanni. Non mancate!
Luca Magrone, Marta Perroni