Capiremo l’arte grazie all’intelligenza artificiale? Il meglio (e il peggio) della tecnologia per i musei: Immaginate i visitatori di un museo che, fermi davanti a un quadro, cominciano a fare domande, ricevendo risposte precise e articolate. Niente di sorprendente se non che a rispondere non è una guida o un critico d’arte ma Watson, la più avanzata intelligenza artificiale alla quale sta lavorando l’IBM. Per il momento succede in due musei, in Brasile e in Olanda. Ma anche in altri musei del mondo si cominciano a offrire ai visitatori esperienze basate sulla Realtà Aumentata, dove Google mette a disposizione tecnologia e piattaforme. Diventa così possibile, ad esempio, mostrare il contenuto dei sarcofagi egizi senza aprirli oppure camminare in un palazzo assiro-babilonese come se si fosse tornati indietro nel tempo. È facile immaginare che nei prossimi anni l’interazione con il pubblico sarà sempre più coinvolgente, ma per arrivare a questo non servirà solo la tecnologia, ma anche tanti dati sul comportamento delle persone che visitano un museo, come quelli che già adesso raccoglie il Louvre di Parigi grazie alla collaborazione del MIT Senseable City Lab, diretto da Carlo Ratti a Boston.
Alle origini della pubblicità. Una mostra a Parma: La Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo (Emilia Romagna) celebra le origini della pubblicità in una rassegna che permette al pubblico di passeggiare tra bozzetti e manifesti che vanno dal 1890 fino agli Anni Sessanta del Novecento. Con la nascita delle industrie la comunicazione pubblicitaria comincia a farsi più raffinata e ammaliante: per questo la figura femminile diventa protagonista, assieme ai colori e alle forme, che nel corso degli anni si evolvono in maniera sempre più incisiva e geometrica. Gli artisti esposti, molto prima dell’avvento dei computer, spesso sono stati talmente bravi da anticipare l’efficacia della grafica moderna e influenzare generazioni di pubblicitari.
Il fallimento può essere uno spunto creativo? A Venezia un convegno sul tema: Negli Stati Uniti, soprattutto negli ambienti della Silicon Valley, si dice, paradossalmente, che la probabilità di successo di un’azienda o di un imprenditore è proporzionale ai suoi fallimenti. Più si è fallito, più si ha esperienza, meno si sbaglierà in futuro. Per un artista potrebbe accadere qualcosa di simile. Infatti un convegno a Venezia, intitolato La costruzione di un errore, vuole indagare i legami e le tangenze possibili tra gli errori e l’universo creativo. Il seminario, ultima fase di un progetto curato da Cescot Veneto con il sostegno della Regione Veneto e il Patrocinio del Comune di Venezia, sarà focalizzato sugli aspetti costruttivi dell’errore e del fallimento tanto nel percorso individuale e lavorativo, quanto nelle forme del gesto artistico.