8° EDIZIONE FESTIVAL DEL GIORNALISMO CULTURALE

SCIENZA, CULTURA
Passato, presente.
Lentezza, velocità.

Ottobre 2020


2017-09-29 0
[Una delle 200 opere pubblicitarie in esposizione negli spazi della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo a Parma]

 

Capiremo l’arte grazie all’intelligenza artificiale? Il meglio (e il peggio) della tecnologia per i musei: Immaginate i visitatori di un museo che, fermi davanti a un quadro, cominciano a fare domande, ricevendo risposte precise e articolate. Niente di sorprendente se non che a rispondere non è una guida o un critico d’arte ma Watson, la più avanzata intelligenza artificiale alla quale sta lavorando l’IBM. Per il momento succede in due musei, in Brasile e in Olanda. Ma anche in altri musei del mondo si cominciano a offrire ai visitatori esperienze basate sulla Realtà Aumentata, dove Google mette a disposizione tecnologia e piattaforme. Diventa così possibile, ad esempio, mostrare il contenuto dei sarcofagi egizi senza aprirli oppure camminare in un palazzo assiro-babilonese come se si fosse tornati indietro nel tempo. È facile immaginare che nei prossimi anni l’interazione con il pubblico sarà sempre più coinvolgente, ma per arrivare a questo non servirà solo la tecnologia, ma anche tanti dati sul comportamento delle persone che visitano un museo, come quelli che già adesso raccoglie il Louvre di Parigi grazie alla collaborazione del MIT Senseable City Lab, diretto da Carlo Ratti a Boston.

 

Alle origini della pubblicità. Una mostra a Parma: La Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo (Emilia Romagna) celebra le origini della pubblicità in una rassegna che permette al pubblico di passeggiare tra bozzetti e manifesti che vanno dal 1890 fino agli Anni Sessanta del Novecento. Con la nascita delle industrie la comunicazione pubblicitaria comincia a farsi più raffinata e ammaliante: per questo la figura femminile diventa protagonista, assieme ai colori e alle forme, che nel corso degli anni si evolvono in maniera sempre più incisiva e geometrica. Gli artisti esposti, molto prima dell’avvento dei computer, spesso sono stati talmente bravi da anticipare l’efficacia della grafica moderna e influenzare generazioni di pubblicitari.

 

Il fallimento può essere uno spunto creativo? A Venezia un convegno sul tema: Negli Stati Uniti, soprattutto negli ambienti della Silicon Valley, si dice, paradossalmente, che la probabilità di successo di un’azienda o di un imprenditore è proporzionale ai suoi fallimenti. Più si è fallito, più si ha esperienza, meno si sbaglierà in futuro. Per un artista potrebbe accadere qualcosa di simile. Infatti un convegno a Venezia, intitolato La costruzione di un errore, vuole indagare i legami e le tangenze possibili tra gli errori e l’universo creativo. Il seminario, ultima fase di un progetto curato da Cescot Veneto con il sostegno della Regione Veneto e il Patrocinio del Comune di Venezia, sarà focalizzato sugli aspetti costruttivi dell’errore e del fallimento tanto nel percorso individuale e lavorativo, quanto nelle forme del gesto artistico.

 



2017-09-27 1

Art Director di Origami e de La Stampa. Chi è Cynthia Sgarallino?

Sono nata a Roma, ho studiato alla facoltà di Architettura e mi sono formata professionalmente nello studio di Piergiorgio Maoloni, un grande maestro per molti che oggi fanno il mio mestiere. Dopo alcune esperienze in mensili di settore specializzati sono andata a lavorare all’Espresso dove per un periodo ho curato un supplemento che si chiamava Espresso Roma, e poi sono passata al settimanale. Nel l’89 Maoloni progetta La Stampa a 7 colonne e chiama me e Angelo Rinaldi a creare il servizio grafico del quotidiano torinese. Da allora vivo e lavoro a Torino. Due anni fa siamo partiti con il progetto-scommessa di Origami, un settimanale di carta molto particolare che mi diverto a disegnare, oltre a portare avanti il lavoro del quotidiano.

Come si è avvicinata al giornalismo e che cosa consiglia ai ragazzi che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo?

In casa mia circolavano almeno un paio di quotidiani al giorno, mio padre era un grande lettore. Sono una persona curiosa, mi interessa il mondo che mi circonda e soprattutto il confronto con gli altri. Cosa c’è di meglio di una redazione? Ho studiato per progettare edifici e mi sono ritrovata a progettare giornali. Una volta entrata in una tipografia non sono più voluta uscire. Il mondo della grafica e della comunicazione è in continuo cambiamento, e a tutti i ragazzi affascinati da questi mondi dico: Studiare, studiare, studiare. Appassionarsi ad un tema, e inseguirlo: “Chi la dura la vince”. Cercare dei maestri, essere umili, avere molta, molta pazienza e imparare con tenacia. Alla fine si viene premiati, in un modo o nell’altro.

 Internet ha modificato profondamente il settore dell’editoria giornalistica. Quali sono secondo lei i cambiamenti più importanti degli ultimi dieci anni e come vede il futuro del giornalismo?

Internet è sicuramente un’opportunità, ma attenzione: il moltiplicarsi di fakenews ha finalmente fatto aprire gli occhi agli utenti. I social, da FB a Twitter moltiplicano la sensazione di conoscere, ma non sempre ci si può fidare. Non tutto quello che troviamo sul web è affidabile. Nei giornali qualcuno ci mette sempre la faccia e questo , in qualche modo, garantisce il lettore. Credo che in futuro i giornali dovranno aumentare la qualità dell’ informazione, ancora più trasparente meglio scritta. I giornali saranno più snelli, i lettori cercheranno più analisi, reportage e commenti. La cronaca delle notizie non avrà molto senso. Probabilmente i quotidiani diventeranno un prodotto di nicchia, ben confezionato, ben disegnato. Non credo ci sia più spazio per i grandi numeri. Del resto lo stiamo già vedendo i quotidiani vendono sempre meno copie, ma io sono ottimista.

Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

Sperimentare nuovi storytelling, usare di più e meglio le fotografie, spiegare per punti gli avvenimenti storici, una trama di un romanzo, una mostra. Abolire le articolesse (che nessuno ha tempo di leggere) e “colorare” di più la Cultura. Togliere un po’ di polvere con un approccio più divertito e, quindi, divertente. Preparare meglio i ragazzi a scuola: investire sui giovani e sugli insegnanti garantirà il futuro del Paese più bello del mondo. Insomma, serve coraggio.

Ci consiglia un libro? 

Come tutti ho letto molto in questi giorni: l’estate è perfetta per recuperare libri non ancora letti. Uno per tutti: “Qualcosa sui Lehman” di Stefano Massini, un romanzo/ballata che merita l’attenzione per circa 800 pagine. Bellissimo. E poi: Landsdale con “Io sono Dot”, la provincia americana in crisi e le avventure di una adolescente con la passione per i pattini a rotelle. Più facile ma sempre divertente “La giostra dei criceti” di Manzini.



2017-09-18 0

 

Esperto di digital marketing e di strategie per la comunicazione digitale. Chi è Andrea Albanese e qual è la sua storia?

Arrivo da una grande multinazionale ICT, l’IBM. L’esperienza fatta in quell’ambiente mi ha permesso di comprendere quasi subito l’importanza dei nuovi strumenti social e digital e ho iniziato a studiarli e ad insegnarli. Oggi sono Social Media Marketing & Digital Communication Advisor, cioè analizzo la situazione AS IS della comunicazione e del marketing digitale nelle aziende, valuto il mercato, i competitor, e definisco la strategia da adottare per essere competitivi sul mercato. Inoltre lavoro come Project Manager e Community Manager, perché sono convinto che per conoscere i social e il digital occorra ‘sporcarsi le mani’ e usarli nel quotidiano. Infine, insegno in diversi Master e Corsi universitari e professionali e sono specializzato in particolare su LinkedIn, uno strumento fondamentale di contact management e customer relationship.

 Come si è avvicinato al digital marketing e che cosa consiglia ai ragazzi che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo?

Sperimentando, provando, leggendo, andando negli USA a convegni e incontri quando ancora qui in Italia si parlava appena di Facebook, men che meno di LinkedIn. I social e il digital sono molto giovani e cambiano in continuazione, tecniche che funzionano oggi potrebbero essere obsolete e inutili fra sei mesi. Come sempre le scuole italiane tardano ad adeguarsi e a preparare i ragazzi a questo nuovo mondo, e sono convinto che apprendere solo la tecnica non sia sufficiente: lavorare sui social media e nel digital significa lavorare con le persone, servono anche (e soprattutto) spiccate doti comunicative e organizzative, capacità di operare sotto stress, creatività, e una base di competenze ICT non guasterebbe, per poter disegnare user experience vincenti.

 Che cosa è cambiato negli ultimi anni nel mondo della comunicazione e quali sono, secondo lei, le tendenze per il futuro?

Siamo passati molto rapidamente da un’era in cui avevamo dei punti di riferimento riconosciuti e riconoscibili e dei canali ‘rodati’ e unidirezionali, che escludevano l’interazione con gli utenti. Il messaggio veniva trasmesso più o meno genericamente su media scelti in base a macrocategorie più o meno rispondenti al nostro target comunicativo. Oggi i social hanno rivoluzionato tutto. Sono strumenti creati per mettere in contatto le persone, non i brand. Gli utenti social rispondono e si relazionano con le comunicazioni dei brand e delle aziende e raccontano le loro esperienze, positive ma soprattutto negative, alle loro communities di riferimento. In futuro sarà sempre più importante trasformare i clienti-utenti in ambassador e alimentare le conversazioni positive. Le persone si fidano di più di altre persone che di ciò che raccontano i brand. In secondo luogo, ci sarà sempre più un passaggio da pubblico a privato: le chat diventeranno cruciali. E i video saranno la chiave della nuova comunicazione, soprattutto i video in diretta.

 Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici? 

Devo dire che dalla prima analisi che facemmo sulla presenza e l’uso dei social media da parte di Musei, Siti Archeologici e affini in Italia, molto è stato fatto: oggi i poli museali, i siti archeologici, le soprintendenze stanno sempre più utilizzando i social media per promuovere le proprie collezioni anche verso pubblici più giovani. I più illuminati coinvolgono blogger, vlogger e social influencer per aumentare la distribuzione dei propri contenuti e anche gli interventi pubblicitari sono sempre più mirati. Alcuni, ad esempio i Musei in Comune di Roma, utilizzano anche la funzione degli Eventi di Facebook ad esempio per promuovere il sabato sera ai musei con le aperture straordinarie e i concerti. Anche la possibilità di scattare fotografie nei luoghi di cultura e condividere così la propria esperienza sui social sta dando nuova vita alla comunicazione museale e culturale: i pubblici giovani amano condividere le proprie esperienze con gli amici. Magari basterebbe dotare i poli museali di wi-fi e invogliare la condivisione con cartelli e hashtag di riferimento. Potrebbero organizzare dei piccoli convegni formativi ‘social’ per guidare il pubblico più giovane alla condivisione delle opere e dei percorsi culturali, magari organizzando piccoli contest. Un piccolo consiglio, però: l’esperienza offerta deve essere ‘wow’, deve invogliare le persone a condividerla con i propri contatti, deve essere unica ed emozionante.

Ci consiglia un libro? 

Ve ne consiglio due: ‘Socialmuseums’ e ‘Il Crowdfunding nel Settore Culturale e Creativo’.



2017-09-14 0

#BuonoaSapersi la rubrica del Festival per tenervi sempre aggiornati con le news più interessanti dal mondo della cultura, dell’arte e del patrimonio culturale.

 

Venezia 74: nasce Italy for Movies, il portale con tutte le location del cinema in Italia: È online un nuovo sito che permette di esplorare le location italiane legate al cinema. Il progetto si chiama Italy for Movies ed è stato presentato alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nasce dalla sinergia tra Direzione Generale Cinema e Direzione Generale Turismo del MiBACT e l’Istituto Luce Cinecittà. Il portale non funzionerà solo da attrattiva turistica, ma aiuterà anche videomaker e cineasti a realizzare le loro opere segnalando bandi e contributi finanziari. Dario Franceschini, Ministro per i Beni e le Attività Culturali, promotore dell’iniziativa, ha dichiarato: “Abbiamo realizzato questo portale per chi vuole venire in Italia a fare film, consultare i luoghi in cui girare scene uniche come il nostro patrimonio culturale e naturalistico è in grado di offrire. È contemporaneamente un grande strumento messo a disposizione dei turisti che hanno la possibilità di conoscere i luoghi che sono stati importanti per il cinema italiano”.

 

“Realizzeremo il sistema nazionale dei musei”: parla Antonio Lampis, nuovo direttore generale dei musei italiani: Antonio Lampis è il nuovo direttore generale dei musei italiani. Uno degli obiettivi principali del nuovo direttore è la realizzazione del sistema nazionale dei musei, uno sviluppo coerente e naturale della riforma voluta dal ministro Franceschini. A proposito dell’innovazione museale, spesso un tasto dolente per la realtà italiana, Lampis ha detto: “Va certamente perfezionato il racconto museale, la contestualizzazione delle opere esposte con gli ambienti della loro provenienze e con il tessuto sociale e produttivo in cui furono concepite. Se si mira ad un’idea di museo che sia realmente polisemico, è determinante reinserire spesso le opere nel contesto sociale e economico da cui sono state tratte”. Ma leggete tutta l’intervista!

 

Le nuove frontiere dei videogiochi: Finalmente il riconoscimento culturale dei videogiochi fa un passo avanti. Grazie alla legge sul cinema e l’audiovisivo, i videogiochi sono ufficialmente ammessi tra le opere audiovisive, considerato a tutti gli effetti un prodotto culturale artistico, tutelabile dal diritto d’autore. Già nel 1988 una sentenza del Tribunale di Milano aveva considerato “il videogioco come opera appartenente alla cinematografia, riconoscendo l’importanza della componente audiovisiva dei videogiochi e il ruolo attivo del fruitore-giocatore nello sviluppo della narrazione dell’opera”. Questa valorizzazione, di sicuro, renderà più semplice sfruttare le potenzialità dei videogiochi come innovativo mezzo di comunicazione per la valorizzazione del patrimonio culturale. Un esempio è Father and Son, promosso dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ma sono sempre di più i musei, anche italiani, che si dicono interessati allo sviluppo di giochi e app basate sulla gamification per coinvolgere maggiormente i loro pubblici, soprattutto quelli più giovani.

 

Arriva l’arte terapia per i detenuti: Nel carcere di Rovigo si è tenuto il primo esperimento di arte terapia riservata ai detenuti. I primi incontri sono stati condotti da Gianni Cagnoni, artista rodigino e dottore in Psicologia clinica. Il laboratorio, articolato in una serie di incontri settimanali che durerà sei mesi. L’arte terapia nasce in Inghilterra e negli Stati Uniti negli anni ’60 e si serve di materiali e tecniche che aiutano a “esprimere, plasmare e dare una identità precisa ai vissuti interni, sia emotivi che cognitivi, a liberare le emozioni represse favorendo il ritorno ad una vita più equilibrata”. Le attività vengono svolte in gruppo e questo permette di migliorare anche la relazione con l’altro, un requisito fondamentale soprattutto per i detenuti che aspirano a un reinserimento nella società.

 

 

 



2017-09-12 0

Artista, attivista e graphic journalist. Chi è Gianluca Costantini?

Mi definisco un operaio dell’arte. Lavoro solitamente 8 ore al giorno. Mattina e pomeriggio, non lavoro mai alla sera. Faccio questo ormai da 25 anni. In questi ultimi anni il mio lavoro principale sono i diritti umani. Voglio lavorare per aiutare gli altri. Per farlo uso il disegno e pubblico su twitter tutti i giorni disegni che gli altri possono utilizzare. Poi, dopo, ci sono i clienti: editori, festival, gallerie e organizzazioni per cui lavoro e per cui sono pagato.

 Che cosa l’ha spinta a occuparsi di tematiche così complesse attraverso l’illustrazione e il graphic journalism, e che cosa consiglierebbe a un giovane che vorrebbe intraprendere un percorso simile al suo?

Tutto è successo quando mi sono accorto che fuori dal mio studio, dalla mia mente, esiste il mondo, con tutte le sue complessità. Mi sono accorto che essere un artista “solitario” non mi interessava, anzi, mi annoiava. Un artista solo non è nessuno. Prima di intraprendere questo di percorso bisogna studiare molto, politica, società e soprattutto annullare ogni stereotipo.

 Qual è, secondo lei, la forza e il valore del graphic journalism rispetto a una narrazione giornalistica di tipo tradizionale? Pensa che il graphic journalism possa avere maggiore impatto sui pubblici?

Il graphic journalism è un nuovo modo di raccontare con il fumetto il mondo, non è proprio un giornalismo come lo intendiamo solitamente, è molto innovativo. Credo che possa colpire, grazie all’immagine, molto di più di un servizio fotografico.

 Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi anche più giovani, pubblici?

Bisogna affascinarli con le storie e i protagonisti di questi 1000 anni, anche con il disegno e il fumetto si può fare molto. Si può unire il racconto con la bellezza del disegno. Ricordo un bellissimo fumetto di Vittorio Giardino su Piero della Francesca.

  • Ci consiglia un libro?
  • Robert Rauschenberg Un ritratto di Calvin Tomkins.


2017-09-11 0

#GliamicidelFestival una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i Direttori, gli Ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e che faranno parte della 5a edizione.

Narratori, scrittori e musicisti. Chi sono i Wu Ming? 

Siamo cantastorie, determinati a raccontare con ogni mezzo necessario. Abbiamo iniziato a metà degli anni Novanta, con un altro nome, ma obiettivi molto simili a quelli che ancora perseguiamo. Siamo convinti che qualunque comunità abbia bisogno di storie e intendiamo il nostro lavoro come un piccolo contributo alla sopravvivenza di un’umanità ribelle, egualitaria e ospitale.

Che cosa vi ha spinto a creare un collettivo di scrittori e come riuscite a conciliare le diverse personalità in un unicum, dalla trama allo stile?

Siamo convinti che non ci sia nulla di strano nello scrivere storie a più mani, così com’è del tutto naturale comporre musica e suonarla insieme in una band. Il talento è individuale, ma la creazione è un processo collettivo, anche quando l’autore crede di essere solo. Lavorare in gruppo non è un esercizio di rinuncia, per il singolo, ma di potenziamento. L’importante è non concepire la scrittura come la ricerca di un accordo “minimo” tra le parti, ma piuttosto come una sfida collettiva, dove l’intesa si raggiunge con proposte sempre nuove.

Come collettivo siete sempre stati affascinati dalle contaminazioni (con la musica, la grafica ecc.) pur attribuendo alla scrittura un ruolo centrale. Su che cosa si fonda questa ricerca e quale valore simbolico acquista per voi?

L’obiettivo di una storia è quello di infettare cervelli, riprodursi, diffondersi il più possibile. Più mezzi le si dà per incontrare le persone e più la sia aiuta a proliferare. Un pesce può spostarsi solo nell’acqua, ma un ibrido tra pesce, uccello, lucertola e talpa può affrontare terreni diversi – a patto di essere un ibrido vitale e non un semplice fantoccio di pezzi di carne. Le nostre storie si ibridano e contaminano per lo stesso motivo.

Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo voi, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

L’utilizzo di più linguaggi e canali, come da risposta precedente, è senz’altro una strada. Poi credo che bisognerebbe avere meno ansia di valorizzare il patrimonio, come se fosse una vacca da latte da mungere il più possibile, per dimostrare che la cultura muove l’economia. Se in una città d’arte c’è un fazzoletto di terreno senza un progetto, pensiamo subito a trovare un investitore, qualcuno che abbia un’idea e ci metta dei soldi. Invece, per coinvolgere davvero i giovani, bisognerebbe dire ogni tanto: ecco, di questo palazzo non sappiamo che farcene, ve lo lasciamo in uso, vediamo cosa ne viene fuori. Ci fidiamo di voi.

Ci consigliate un libro? 

Per stare in tema, direi L’Atlante dei Classici Padani,  a cura di Emanuele Galesi e Filippo Minelli.



2017-09-07 0

Ricercatore, giornalista e dottore di ricerca. Chi è Marco Filoni e qual è la sua storia?

Provengo da studi filosofici (proprio a Urbino, sotto la guida di un maestro indimenticato come Livio Sichirollo) e, dopo aver fatto il canonico iter accademico (dottorato, postdottorato ecc.) ho avuto la possibilità di fare il giornalista culturale. Che, in definitiva, è un altro modo di continuare a fare la stessa cosa: studiare, fare ricerca, scrivere – pensando però a un pubblico differente.

 Che cosa consiglia ai ragazzi che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo?

Non credo vi siano regole precise. Anche perché il mondo dei media è molto cambiato (e continua a cambiare con straordinaria velocità). L’informazione in generale (così come quella culturale) sta evolvendo e, in questa evoluzione, va considerata la crisi generalizzata della carta stampata. Ebbene, come sempre nei momenti di crisi, si aprono anche possibilità fino a oggi impensabili. Perciò ai giovani consiglierei di individuare e approfittare di queste possibilità, considerando la propria epoca e i meccanismi che la governano (penso per esempio alla “personalizzazione” di notizie, visto che oggi siamo sempre più sommersi di informazioni ma allo stesso tempo abbiamo sempre meno attenzione – che è diventata un vero e proprio “mercato”; così come consiglierei di lavorare sui podcast, che negli Stati Uniti hanno visto un vero e proprio boom mentre da noi non sono ancora decollati)…

Qual è, secondo lei, l’importanza e il valore della cultura umanistica in un contesto come quello di oggi, sempre più improntato verso una cultura di tipo tecnico e scientifico?

Proprio perché il contesto odierno è sempre più votato a una cultura di tipo tecnico e scientifico credo ci sia un bisogno maggiore di un umanismo diffuso. Naturalmente questo tipo di cultura umanistica deve sapersi liberare da alcuni recinti – come l’autoreferenzialità, il rimaner chiusi nel proprio “vecchio mondo antico” fatto di gergo e pensieri oscuri: insomma, liberarsi dall’immagine che Gadda chiamava quella dell’intellettuale tartufone. Ricordo sempre con piacere un aneddoto: quando il banchiere Raffaele Mattioli, negli anni Trenta del Novecento, assunse a capo dell’ufficio studi della Banca Commerciale Italiana Antonello Gerbi, disse a un amico inglese “Ho assunto un filosofo domato”. E allo stupore dell’amico, esclamò: “Ma come non lo sa? Se vuol qualcuno che capisca il mondo, chiami un filosofo”.

Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

Avere coraggio. E non aver paura di dimostrare che tutto è cultura, che senza vengono meno gli strumenti per capire il nostro mondo e sapersi orientare nel grande caos della nostra epoca. Senza cultura non c’è storia, senza cultura non c’è capacità di comprendere il proprio tempo. Come diceva spesso il grande storico dell’antichità Arnaldo Momigliano, “a non leggere non succede nulla”.

Ci consiglia un libro? 

Scelgo un romanzo: Exit West di Mohsin Hamid (Einaudi). Si tratta di un libro necessario capace di porre domande, aprire scenari, far riflettere. E non è poco…

 

 



2017-09-04 2

#GliamicidelFestivalFGC una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i Direttori, gli Ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e che faranno parte della 5a edizione.

 

Esperta di strategie digitali per il turismo e per i beni culturali. Chi è Marianna Marcucci?

Una inguaribile curiosa. Dopo il liceo classico, mi sono laureata in Farmacia ma, durante il periodo universitario, ho iniziato a lavorare nel mondo del turismo seguendo, tra l’altro, molti corsi di formazione in quel settore per soddisfare la mia curiosità e migliorarne la conoscenza. Sono senior consultant in “Mind Lab Hotel”, una società che nasce dal desiderio di alcuni albergatori di condividere le proprie conoscenze aiutando gli albergatori a prendere confidenza con marketing, social media e revenue management.
Negli ultimi anni la mia attenzione si è focalizzata sulle opportunità che il web può offrire al mondo del turismo, dell’arte e della cultura. Nell’ambito di queste ricerche sono co-founder di Invasioni Digitali, insieme a Fabrizio Todisco, un’iniziativa bottom-up nata nel 2013 con l’obiettivo di promuovere e valorizzare il coinvolgimento delle persone nel vivere attivamente i beni culturali. Promuovere la cultura, la storia, la bellezza attraverso il web e i social network.

Come si è avvicinata al settore della comunicazione e che cosa consiglia ai ragazzi che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo?

Per la prima parte della domanda vi rimando sopra, per la seconda direi che non esista una formula magica ma che si debba studiare, confrontarsi con gli altri, mai dare niente per scontato ma, soprattutto, non pensare di essere arrivati a sapere tutto. C’è sempre spazio per imparare qualcosa di nuovo.

Il vostro progetto, Invasioni Digitali, è nato con l’obiettivo di valorizzare la cultura e la storia del patrimonio attraverso il coinvolgimento diretto dei pubblici e l’utilizzo delle tecnologie digitali. Qual è, secondo lei, il ruolo della tecnologia in questo contesto, e perché diventa importante saperla declinare anche all’interno del settore culturale?

La tecnologia è uno strumento, lo strumento che oggi, a differenza di ieri, abbiamo la possibilità di applicare in modo esteso anche al settore dei beni culturali. Ci aiuta a dialogare con le persone. Ascoltandole prima, e parlando loro poi, stimoliamo la loro curiosità nel cercare di saperne di più. Musei e istituzioni culturali possono, così, colmare quello spazio di silenzio che si crea quando non riescono a raggiungere persone che potrebbero essere interessate ma che, per i motivi più vari, rimangono escluse da milioni di storie fantastiche che potrebbero vivere a contatto con i beni culturali.

 Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

Fornire gli strumenti adatti per accompagnare le persone nel vivere quell’esperienza che ci fa lavorare con tanta passione per raccontarla, strumenti che devono essere adatti a loro e non solo cuciti su chi li propone. L’ascolto è il primo passo verso l’avvicinamento di questi due mondi, chi propone e chi vive l’esperienza culturale.

Ci consiglia un libro?

Un libro che sto rileggendo in questi giorni “All’improvviso bussano alla porta” di Etgar Keret perché parla di storie che non sapevamo di avere dentro.



2017-08-29 0

#GliamicidelFestival una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i direttori, gli ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e faranno parte della prossima edizione.

 

 

Giornalista e Responsabile Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Chi è Marco Ferrazzoli?

Sono un giornalista, da 13 anni capo ufficio stampa CNR e da tre docente di divulgazione scientifica all’Università di Roma Tor Vergata. In passato ho avuto esperienze di tipo molto vario, tra radio, tv e carta stampata.

Che cosa consigli ai ragazzi che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo?

Un percorso simile al mio non è più consigliabile: a chi volesse fare il giornalista, consiglierei una scuola riconosciuta dall’Ordine; chi volesse tentare la strada della divulgazione scientifica ha a disposizione alcuni master.

Quanto è importante la comunicazione della ricerca e della scienza, e qual è secondo lei il rapporto che si può instaurare, in questo senso, con il giornalismo?

Più che importante è indispensabile, perché senza un positivo rapporto con i media non si crea quel consenso sociale verso la ricerca che indirettamente porta anche al sostegno politico ed economico. Il giornalismo dovrebbe distinguersi dalla comunicazione generica per il suo approccio razionale e oggettivo ai temi della scienza: uso il condizionale perché non è sempre così.

Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

Raccontare il patrimonio materiale e immateriale con mezzi, codici e linguaggi innovativi aiuterebbe a rendere i giovani più consapevoli. Temo che talvolta gli addetti ai lavori prediligano invece una retorica formalmente e sostanzialmente conservativa e un po’ lamentosa.

Ci consiglia un libro?.

Le ‘Sette brevi lezioni di fisica’ di Carlo Rovelli (Adelphi), per i pochi che non lo avessero ancora letto: il saggio di divulgazione scientifica italiano di maggior successo.

 

 



2017-08-22 0

#GliamicidelFestival una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i direttori, gli ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e faranno parte della prossima edizione.

 

Executive Creative Director della Ogilvy & Mather, si occupa di comunicazione dal 1990 e ha scritto numerosi libri su un nuovo modo di fare comunicazione. Da dove viene Paolo Iabichino e qual è la sua storia?

Sono cresciuto dietro il bancone di un bar, e poi crescendo tra i tavolini e il forno di una pizzeria. Non ho mai avuto molto tempo per pensare a cosa volessi fare da grande, ho incontrato il demone della scrittura e l’ho messo al servizio di chi riusciva meglio a farmi sbarcare il lunario. Non posso vantare un pedigree accademico, ma solo un’ostinata vocazione per mettere a reddito l’unica cosa che sapessi fare: scrivere.

Durante questa edizione del Festival lei sarà anche Presidente di giuria del concorso per ragazzi che prevede la realizzazione di uno spot sul patrimonio culturale della Regione Marche. Cosa consiglia a un giovane che oggi vorrebbe lavorare nel settore pubblicitario?

Di rinunciare alle fascinazioni del mestiere che ancora aleggiano sulla professione. Oggi la pubblicità è un lavoro decisamente complicato, dove l’istinto creativo deve sottostare a rigidi criteri scientifici e valutazioni che nulla hanno a che fare con il genio e la sregolatezza dei primissimi tempi. L’ego del creativo si piega alle istanze di comunicazione e alle esigenze di un pubblico sempre più attento, critico e consapevole.

Lei ha coniato il termine invertising per identificare un cambiamento significativo nel mondo della comunicazione e del marketing. Secondo lei si può applicare anche alla comunicazione del patrimonio culturale?

Sì. Perché in tutti questi anni abbiamo perso ascendente e carisma e non abbiamo saputo raccontare la maestosità narrativa del nostro patrimonio culturale. Non sono tanto preoccupato di vedere il mio invertising al servizio della nostra comunicazione culturale, mi accontenterei di vedere un impegno rinnovato, una sensibilità nuova e un atteggiamento diverso da parte di chi è chiamato a pubblicizzare il nostro Paese, avendo a disposizione il più invidiato argomento di vendita del pianeta: la bellezza.

Qual è secondo lei il miglior prodotto pubblicitario realizzato negli ultimi anni e perché? 

L’ultima edizione del Festival di Cannes ci ha offerto un oggetto straordinariamente importante per comprendere l’evoluzione del nostro mondo nelle prossime settimane. Un video che racconta un’installazione realizzata a New York, dove la statua di una bambina coraggiosa sfida il toro di Wall Street e raccoglie migliaia di persone intorno a sé, la maggior parte sono donne, tantissime le bambine, che si fanno fotografare vicino a lei, specchiandosi nella sua temerarietà.

Ultima domanda: ci consiglia un libro?

Mi è stato chiesto di presentare proprio alla prossima edizione del vostro Festival la mia ultima pubblicazione. Si tratta di un abbecedario dedicato proprio alla scrittura (e alla lettura) della pubblicità contemporanea. S’intitola Scripta Volant, perché si occupa dei nuovi atteggiamenti progettuali, quelli che ci costringono a rivedere il nostro scrivere, che una volta messo in rete vola via spinto dal vento di chi legge e usa la comunicazione dentro i propri palinsesti narrativi.