“Ho conosciuto il male assoluto per la sola colpa di essere nata”, ha esordito così Liliana Segre davanti ad una sala gremita di gente, nel Palazzo Gradari di Pesaro.
Intervistata da Giorgio Zanchini la senatrice a vita ha parlato della sua esperienza nei campi di bambina ebrea deportata, di cosa succederà quando anche gli ultimi testimoni della Shoah non ci saranno più, della violenza che dilaga nella società.
Seduta con la schiena dritta, senza appoggiarsi alla sedia, ha raccontato della mattina in cui, al di là della recinzione che divideva il campo di Birkenau dal lager dove venivano portate intere famiglie di zingari, non aveva più visto nessuno, volavano soltanto degli stracci sollevati dal vento. Ha spiegato che è questo ciò che l’ha spinta a prendere posizione nel dibattito sul censimento di rom e sinti. Il fatto di averli visti morire nei campi di concentramento e l’aver dovuto denunciare anche lei la sua diversità nel tempo delle leggi razziali le hanno permesso di vedere in questa proposta del governo italiano un segno di violenza e discriminazione.
Liliana Segre ha parlato anche di scuola, l’unico luogo in cui la memoria della Shoah ha la speranza di non diventare una semplice riga all’interno di un libro di storia. Quella scuola in cui lei, a soli otto anni lasciò un banco vuoto, un segno che poteva dire tanto, che già allora poteva insegnare che siamo tutti uguali, ma che invece face emergere la totale indifferenza delle sue compagne nei confronti del suo destino e di quello di tutta la popolazione ebraica.
Alla fine del suo intervento la senatrice si è alzata e si è seduta in prima fila per lasciare il microfono al secondo grande ospite dell’ultima giornata del Festival: Pupi Avati. Il regista ha intrattenuto il pubblico raccontando alcuni aneddoti della sua vita, del suo rapporto con le donne e dei suoi film, saltando dai temi più seri a quelli più leggeri. Con la simpatia che lo contraddistingue ha raccontato della sua relazione con la moglie, del suo disperato desiderio di essere credente, dei suo più grande peccato, l’invidia, e della sua esperienza di scrittore che gli ha permesso di sentirsi più libero rispetto al cinema, dove la sua fantasia si deve piegare alla dittatura del denaro.
La mattina si è conclusa con un panel dedicato alle nuove narrazioni dei prodotti culturali. Sono intervenuti Lamberto Maffei, Antonio Pavolini, Massimo Bernardini, Gian Paolo Manzella, Elisabetta Stefanelli e Roberto Zichitella. È stato evidenziato il ruolo costitutivo della parola per l’essere umano in qualsiasi modo questa venga declinata, indipendentemente da ogni mezzo. Ed è proprio chi intorno alle parole ha costruito un mestiere, diffondendole e amplificandole che deve assumersi la responsabilità di non utilizzarle in modo violento, ma al contrario di dar loro una funzione pedagogica e arricchente.
Eleonora Numico