8° EDIZIONE FESTIVAL DEL GIORNALISMO CULTURALE

SCIENZA, CULTURA
Passato, presente.
Lentezza, velocità.

Ottobre 2020


2017-08-31 0

#BuonoaSapersi la rubrica del Festival per tenervi sempre aggiornati con le news più interessanti dal mondo della cultura, dell’arte e del patrimonio culturale.

 

La Treccani lancia un’enciclopedia per l’arte contemporanea. Vincenzo Trione la dirigerà: L’enciclopedia Treccani, diretta da Massimo Bray, lancia una nuova sezione dedicata all’arte contemporanea. Quattro i volumi con 4.000 voci che usciranno nel 2019. Il progetto è stato affidato a Vincenzo Trione per ripercorrere un periodo storico e artistico che parte dalle avanguardie fino ai giorni nostri. Il lavoro di Trione e del suo team, si concentrerà su un’accurata selezione degli artisti più importanti in ottica geopolitica, ampliando le definizioni proposte con l’aggiunta di saggi e riflessioni critiche dei maggiori esperti.

 

E il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto diventa social grazie all’app SPAC3: Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto è stato reinterpretato in tante varianti diverse. Il famosissimo simbolo a tre occhi, rivisitazione dell’infinito, oggi raggiunge anche lo spazio! In concomitanza con la missione VITA dell’astronauta italiano Paolo Nespoli è stata lanciata l’app SPAC3 che attraverso la partecipazione degli utenti raccoglie scatti componendo un social artwork dinamico con lo scopo di sensibilizzare allo sviluppo sostenibile: un link diretto tra spazio e Terra. «SPAC3 è una grande opera d’arte che coinvolge l’intera umanità in collegamento con l’operazione spaziale» le parole di Pistoletto. Curiosi? Date un’occhiata al sito!

 

Dagli USA arriva un libro sulla Slow Art, la nuova e lenta tecnica per esperire le opere d’arte: In un’epoca frenetica e iper-accellerata, il docente di letteratura, Arden Reed, va in contro tendenza promuovendo la slow art, una tecnica di osservazione delle opere d’arte che richiede maggiore attenzione e consapevolezza. Il lavoro dell’accademico americano si propone come teoria per sviluppare un “nuovo campo estetico” di osservazione, una forma di contemplazione che Reed paragona al momento di preghiera.



2017-08-29 0

#GliamicidelFestival una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i direttori, gli ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e faranno parte della prossima edizione.

 

 

Giornalista e Responsabile Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Chi è Marco Ferrazzoli?

Sono un giornalista, da 13 anni capo ufficio stampa CNR e da tre docente di divulgazione scientifica all’Università di Roma Tor Vergata. In passato ho avuto esperienze di tipo molto vario, tra radio, tv e carta stampata.

Che cosa consigli ai ragazzi che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo?

Un percorso simile al mio non è più consigliabile: a chi volesse fare il giornalista, consiglierei una scuola riconosciuta dall’Ordine; chi volesse tentare la strada della divulgazione scientifica ha a disposizione alcuni master.

Quanto è importante la comunicazione della ricerca e della scienza, e qual è secondo lei il rapporto che si può instaurare, in questo senso, con il giornalismo?

Più che importante è indispensabile, perché senza un positivo rapporto con i media non si crea quel consenso sociale verso la ricerca che indirettamente porta anche al sostegno politico ed economico. Il giornalismo dovrebbe distinguersi dalla comunicazione generica per il suo approccio razionale e oggettivo ai temi della scienza: uso il condizionale perché non è sempre così.

Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

Raccontare il patrimonio materiale e immateriale con mezzi, codici e linguaggi innovativi aiuterebbe a rendere i giovani più consapevoli. Temo che talvolta gli addetti ai lavori prediligano invece una retorica formalmente e sostanzialmente conservativa e un po’ lamentosa.

Ci consiglia un libro?.

Le ‘Sette brevi lezioni di fisica’ di Carlo Rovelli (Adelphi), per i pochi che non lo avessero ancora letto: il saggio di divulgazione scientifica italiano di maggior successo.

 

 



2017-08-22 0

#GliamicidelFestival una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i direttori, gli ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e faranno parte della prossima edizione.

 

Executive Creative Director della Ogilvy & Mather, si occupa di comunicazione dal 1990 e ha scritto numerosi libri su un nuovo modo di fare comunicazione. Da dove viene Paolo Iabichino e qual è la sua storia?

Sono cresciuto dietro il bancone di un bar, e poi crescendo tra i tavolini e il forno di una pizzeria. Non ho mai avuto molto tempo per pensare a cosa volessi fare da grande, ho incontrato il demone della scrittura e l’ho messo al servizio di chi riusciva meglio a farmi sbarcare il lunario. Non posso vantare un pedigree accademico, ma solo un’ostinata vocazione per mettere a reddito l’unica cosa che sapessi fare: scrivere.

Durante questa edizione del Festival lei sarà anche Presidente di giuria del concorso per ragazzi che prevede la realizzazione di uno spot sul patrimonio culturale della Regione Marche. Cosa consiglia a un giovane che oggi vorrebbe lavorare nel settore pubblicitario?

Di rinunciare alle fascinazioni del mestiere che ancora aleggiano sulla professione. Oggi la pubblicità è un lavoro decisamente complicato, dove l’istinto creativo deve sottostare a rigidi criteri scientifici e valutazioni che nulla hanno a che fare con il genio e la sregolatezza dei primissimi tempi. L’ego del creativo si piega alle istanze di comunicazione e alle esigenze di un pubblico sempre più attento, critico e consapevole.

Lei ha coniato il termine invertising per identificare un cambiamento significativo nel mondo della comunicazione e del marketing. Secondo lei si può applicare anche alla comunicazione del patrimonio culturale?

Sì. Perché in tutti questi anni abbiamo perso ascendente e carisma e non abbiamo saputo raccontare la maestosità narrativa del nostro patrimonio culturale. Non sono tanto preoccupato di vedere il mio invertising al servizio della nostra comunicazione culturale, mi accontenterei di vedere un impegno rinnovato, una sensibilità nuova e un atteggiamento diverso da parte di chi è chiamato a pubblicizzare il nostro Paese, avendo a disposizione il più invidiato argomento di vendita del pianeta: la bellezza.

Qual è secondo lei il miglior prodotto pubblicitario realizzato negli ultimi anni e perché? 

L’ultima edizione del Festival di Cannes ci ha offerto un oggetto straordinariamente importante per comprendere l’evoluzione del nostro mondo nelle prossime settimane. Un video che racconta un’installazione realizzata a New York, dove la statua di una bambina coraggiosa sfida il toro di Wall Street e raccoglie migliaia di persone intorno a sé, la maggior parte sono donne, tantissime le bambine, che si fanno fotografare vicino a lei, specchiandosi nella sua temerarietà.

Ultima domanda: ci consiglia un libro?

Mi è stato chiesto di presentare proprio alla prossima edizione del vostro Festival la mia ultima pubblicazione. Si tratta di un abbecedario dedicato proprio alla scrittura (e alla lettura) della pubblicità contemporanea. S’intitola Scripta Volant, perché si occupa dei nuovi atteggiamenti progettuali, quelli che ci costringono a rivedere il nostro scrivere, che una volta messo in rete vola via spinto dal vento di chi legge e usa la comunicazione dentro i propri palinsesti narrativi.

 



2017-08-22 0

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Archeologo, accademico e oggi Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del MiBACT. Qual è la storia di Giuliano Volpe?

È la storia di una persona che compie 59 anni nel giorno stesso in cui risponde a queste domande, facendo anche, come accade a tutti ad una certa età, un bilancio di risultati positivi e fallimenti, di soddisfazioni e delusioni, di gioie e amarezze. È la storia di un ragazzo di una famiglia modesta (genitori con un negozietto, unico laureato di cinque figli) in un piccolo paese del Sud, che deve tutto ad alcuni bravi professori del liceo e dell’università, che ha voluto restare (o meglio tornare) al Sud convinto che ci fosse tanto da fare, che ha percorso tutta la carriera universitaria senza essere “allievo di”, diventando ordinario a 42 anni, rettore dell’Università di Foggia a 50 e Presidente del Consiglio superiore BCP a 55 (ero nel Consiglio già da due anni in rappresentanza delle regioni e sono stato designato dal ministro Dario Franceschini, che non conoscevo prima). Non credo affatto che sia una storia particolare, ma ne vado fiero, soprattutto perché dimostra che anche in un paese chiuso, gerontocratico, poco meritocratico, con scarsa mobilità e tanti condizionamenti determinati da appartenenze (familiari, politiche, accademiche, religiose, massoniche, ecc.), c’è spazio per chi voglia impegnarsi.

Che cosa l’ha spinta verso l’archeologia e la tutela dei beni culturali, e che cosa consiglierebbe a un giovane che vorrebbe intraprendere un percorso simile al suo?

L’archeologia l’ho scoperta all’Università dove studiavo letteratura e storia antica e l’ho subito amata sia perché ho immediatamente colto le possibilità di occuparsi di storia del passato attraverso altre fonti, quelle materiali, sia perché a me più congeniale: amo studiare il passato ma essendo attivo nel presente, coniugare lo studio all’attività manuale, lavorare sul campo, essere militante. Insomma, l’archeologia e il patrimonio culturale mi offrono la possibilità di conciliare le mie due passioni: la ricerca e l’impegno civile. Ho avuto la fortuna, da studente, di partecipare a scavi importanti come quello della villa romana di Settefinestre in Toscana e della Crypta Balbi a Roma e poi di dirigere molti scavi, terrestri e subacquei, in Italia e all’estero, occupandomi in particolare di archeologia dei paesaggi e scegliendo di studiare un momento cruciale della storia, fino a tempi recenti alquanto sottovalutato: la fine del mondo antico e il passaggio al medioevo, un momento complesso, drammatico, di profondi e drammatici cambiamenti, per certi versi vicini a quelli che stiamo vivendo. Ad un giovane consiglerei di studiare, di lavorare duro ma soprattutto di fare le proprie scelte con passione. Da anni l’Università italiana vive un momento di grande difficoltà, ma ci sono anche notevoli opportunità per chi voglia studiare archeologia e mi auguro che a breve si riaprano maggiormente le possibilità occupazionali. Siamo molto impegnati in questo campo anche con le riforme in atto nel settore dei beni culturali. Sento una sorta di dovere etico nei confronti dei giovani, perché abbiano almeno le stesse opportunità che ho avuto io molti anni fa.

Negli ultimi anni si è prestata maggiore attenzione verso tematiche e obiettivi di valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. Perché è tanto importante promuovere questo aspetto? Pensa che sia siano fatti dei progressi in questo senso?

Da alcuni anni è in atto una riforma radicale (direi anzi una vera e propria rivoluzione) che sta cercando di modificare il concetto stesso di patrimonio culturale, in linea con i principi della Convenzione europea sul valore del patrimonio culturale (Faro 2005), che spero sia finalmente ratificata dal nostro Parlamento. Una tutela meno legata solo ai divieti e ai vincoli (pur sempre necessari) e più attiva e progettuale, e soprattutto più contestuale (ecco il perché delle soprintendenze uniche a base territoriale al posto delle precedenti soprintendenza settoriali). Una maggiore attenzione alla valorizzazione, insieme alla tutela: noi tutti conserviamo con cura solo le cose cui attribuiamo un valore (non solo venale, ma anche affettivo, perché si tratta di un ricordo, è qualcosa di caro, di prezioso per noi), cose che consideriamo ‘utili’; quelle cose per noi senza valore le gettiamo via, nella spazzatura o al massimo le releghiamo in soffitta; così intendo il concetto di valorizzazione, da alcuni spregiativamente confusa con la mercificazione. Ecco perché la rivoluzione dei musei, con l’obiettivo di fare dei musei un vero ‘servizio pubblico essenziale’, capaci, cioè, di aprirsi a tutti, di includere, di essere vivi, di essere luoghi di studio e di educazione ma anche di piacere, di godimento, come è scritto nella legge del 2014. Se il patrimonio culturale riuscirà a favorire anche nuove forme di occupazione, di lavoro vero, di economia sana, pulita, colta, sostenibile, sarà un successo per il nostro Paese. Ed è anche grazie al suo patrimonio culturale che l’Italia potrà svolgere anche un ruolo in Europa e nel mondo.

Ovviamente, come nel caso di ogni riforma radicale, ci sono errori (da riconoscere e da correggere), cose da migliorare e si sono registrate anche molte opposizioni e resistenze, non solo da parte di chi difende privilegi e rendite di posizioni ma anche di chi ha legittime idee diverse. Sarebbero necessari un maggior ascolto reciproco, un maggiore rispetto delle idee diverse, ma soprattutto il coraggio di accettare la sfida del cambiamento.

Patrimonio culturale. Una storia, 1000 per raccontarla è il tema della prossima edizione del Festival. Che cosa si può fare, secondo lei, per raccontare il settore culturale a nuovi, e in alcuni casi più giovani, pubblici?

La comunicazione culturale svolge una funzione determinante, centrale, preziosa, soprattutto in una fase di cambiamenti quale quella che stiamo vivendo. Troppo a lungo anche certa stampa ha avuto poco coraggio e si è appiattita ad una sorta di ‘pensiero unico’.

Se abbiamo l’obiettivo di porre al centro le persone, i cittadini, le comunità, i visitatori e se desideriamo consentire a ciascuno, con la propria sensibilità e il proprio punto di vista, di scoprire il valore del patrimonio culturale, allora dobbiamo consentire a tutti di appropriarsene, attraverso la conoscenza. E la conoscenza non è possibile senza un’adeguata comunicazione, oggi anche utilizzando le tecnologie, alle quali sono particolarmente sensibili i più giovani. Ritenere che l’unica forma di fruizione sia la contemplazione e arricciare il naso, sdegnati, per un selfie fatto davanti ad un’opera d’arte, un monumento o un paesaggio, o per una foto pubblicata su Instagram o Facebook significa assumere lo stesso atteggiamento di chi guardava con sospetto le lampadine al posto delle candele o la stampa a caratteri mobili rispetto ai manoscritti. Con una precisazione, però. Le tecnologie sono ormai irrinunciabili (nell’epoca degli smartphone tuttofare) ma sono solo uno strumento: ben più importante è il progetto culturale e comunicativo. Si può usare un semplice disegno ad acquerello o una ricostruzione informatizzata 3D, un plastico o un prodotto multimediale poco importa, ciò che conta è quello che si intende raccontare e le domande che si cerca di suscitare. Troppo spesso si fraintende l’uso delle strumentazioni ICT, dando più importanza (e risorse) alle macchine, peraltro rapidamente obsolete, che ai contenuti, con il rischio di sostituire il virtuale al documento reale, anziché porlo al suo servizio nel quadro di un complessivo progetto culturale. Insomma, c’è tanto lavoro per chi si occupa di giornalismo e comunicazione culturale per offrire un racconto storico.

Ci consiglia un libro?

Mi piace molto leggere, anche libri che poco hanno a che fare con lo studio (romanzi, gialli, racconti, saggi vari, ecc.) e avrei quindi tante letture da consigliare, ma in questa occasione suggerisco l’ultimo saggio di Andrea Carandini, La forza del contesto (Laterza), perché spiega in maniera efficace perché è necessario passare dal ‘testo’ al ‘contesto’, dal museo al paesaggio, dall’Italia considerata come un ‘museo diffuso’ all’Italia come il ‘contesto dei contesti’. Troppo a lungo ha prevalso un’attenzione esclusiva per il singolo monumento, o al massimo per antologie di monumenti, mentre serve finalmente passare allo studio, alla tutela e alla valorizzazione contestuale, che pongano al centro i paesaggi. I paesaggi sono la nostra vera carta d’identità, i paesaggi siamo noi. I paesaggi sono, infatti, opera non di una singola persona e meno che mai di un solo artista o ma sono il prodotto delle azioni millenarie delle comunità insediate in un territorio in rapporto all’ambiente. Dobbiamo imparare a cogliere e a raccontare questi sistemi complessi di relazioni. Perché, come scrive Carandini, «un volto non è mai la somma di capelli, fronte, orecchi, occhi, guance, naso, bocca, mento e collo, ma una loro speciale composizione, a parole non descrivibile ma che l’occhio in un lampo riconosce…».



2017-08-17 0

#BuonoaSapersi la rubrica del Festival per tenervi sempre aggiornati con le news più interessanti dal mondo della cultura, dell’arte e del patrimonio culturale.

 

Vinta la battaglia per le foto libere in archivi e biblioteche: la norma passa in Senato: È passata anche in Senato una norma sulle foto libere negli archivi e nelle biblioteche. Dopo la promulgazione della legge, chiunque potrà scattare liberamente fotografie all’interno di archivi e biblioteche per ragioni di studio e di ricerca. Verrà, quindi, eliminato il canone previsto per l’utilizzo di questi materiali, purché le finalità siano senza scopo di lucro. Anche questo, indirettamente, sarà un modo per valorizzare l’immenso patrimonio culturale italiano, fatto anche di documenti e libri di pregio, spesso ignorati dai non addetti ai lavori.

 

Google ha messo a punto un algoritmo che imita il lavoro dei fotografi. Ecco le immagini: Gli studi sull’intelligenza artificiale stanno facendo passi da gigante e le aziende della Silicon Valley sono in prima linea. Due ricercatori di Google hanno creato “un sistema per la creazione di contenuti artistici”, si chiama Creatism e il suo algoritmo è in grado di simulare il lavoro dei fotografi di paesaggio. Le prime fotografie sono state scattate usando Google Street View, con ottimi risultati, gradevoli, ma ancora lontani dallo sguardo e dalla tecnica di un fotografo professionista.

 

Name That Art: l’arte vista attraverso gli occhi dei più piccoli: In una serie di video divertentissimi, prodotta da Google Arts & Culture, l’arte viene spiegata dai bambini. Ai più piccoli è stato chiesto di commentare alcuni quadri di autori famosi. Il risultato è sorprendente e ci restituisce un punto di vista sincero e originale: quello di un bambino che cerca di capire la storia dell’arte.

 



2017-08-14 0

#GliamicidelFestival una rubrica per raccontare le personalità del Festival, i direttori, gli ospiti e i tantissimi amici che ci supportano e faranno parte della prossima edizione.

 

 

1) In RAI dal 1996, giornalista culturale e conduttore radiofonico, co-Direttore del Festival del giornalismo culturale. Qual è la storia di Giorgio Zanchini?

In poche parole, un itinerario incerto, ma che poi si è stabilizzato sul giornalismo radiofonico. Incerto perché all’inizio della mia vita professionale mi sono diviso tra la pratica forense – sono avvocato – la ricerca universitaria e il giornalismo. Poi ho vinto un concorso alla RAI e quel fatto ha diciamo così determinato il mio destino. Però le altre passioni restano.

2) Che cosa è cambiato negli ultimi anni nel mondo del giornalismo culturale e che cosa consiglia a un giovane che vuole intraprendere il suo stesso percorso professionale?

E’ cambiato moltissimo perché la Rete ha per cosi dire decostruito il campo giornalistico, portando disintermediazione e quindi indebolimento delle figure professionali. Che debbono oggi essere capaci di lavorare su diverse piattaforme e vari media. Quindi più che un consiglio è un invito alla consapevolezza: bisogna essere flessibili e introiettare l’idea che per molti anni si scriverà o lavorerà per varie testate.

3) Il Festival del giornalismo culturale è diventato un appuntamento annuale di riflessione e di confronto sui temi della cultura. Da quale esigenza è nata la voglia di raccontare con un Festival le nuove frontiere del giornalismo culturale?

Io credo che a muoverci sia stata soprattutto l’idea, la convinzione che mancasse un momento, uno spazio, un luogo dove si potesse riflettere su come i media si occupano di cultura. Ci sono festival su tutto, in Italia, mancava il nostro.

4) Ultima domanda: ci consiglia un libro? 

Vi consiglierei Il corpo del reato di Carlo Bonini, è un libro inchiesta sul caso Cucchi. Un ottimo strumento per imparare come si fa un’inchiesta, come si scava, come si approfondisce, scritto tra l’altro in modo molto efficace.



2017-08-03 0

Si comunica che il comitato tecnico-scientifico del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti riconoscerà 22 crediti formativi ai giornalisti che parteciperanno al Festival.

In particolare saranno riconosciuti:

  • n. 3 crediti per la giornata di giovedì 12 ottobre a Urbino, dalle ore 15 alle ore 18;
  • n. 8 crediti per la giornata di venerdì 13 ottobre a Pesaro: 4 crediti dalle ore 9.30 alle ore 13.30 e 4 crediti dalle ore 15 alle ore 19;
  • n. 8 crediti per la giornata di sabato 14 ottobre a Fano: 4 crediti dalle ore 9.30 alle ore 13.30 e 4 crediti dalle ore 15 alle ore 19;
  • n. 3 crediti per la giornata di domenica 15 ottobre a Fano, dalle ore 10 alle ore 13.

Per ottenere i crediti, i giornalisti dovranno registrarsi esclusivamente nella piattaforma nazionale SIGeF.



2017-08-02 0

#BuonoaSapersi la rubrica del Festival per tenervi sempre aggiornati con le news più interessanti dal mondo della cultura, dell’arte e del patrimonio culturale.

 

 

Smartify, lo Shazam delle opere d’arte: Finalmente è disponibile anche in Italia l’app gratuita, realizzata da una società londinese, che permette di scannerizzare e riconoscere un’opera d’arte, mostrando autore, titolo dell’opera ma anche tantissime informazioni. Smartify, che si installa facilmente su qualsiasi smartphone Android e iOS, potrebbe non solo semplificare la vita ai turisti curiosi che visitano un museo, ma avvicinare i più giovani all’arte con un approccio giocoso e stimolante. Al ricco database hanno già aderito importanti istituzioni museali come il Louvre di Parigi, il Rijksmuseum di Amsterdam e il Metropolitan museum di New York.

 

Thinking Machines. Una mostra al MoMA di New York racconta le origini dell’arte digitale: Il Museum of Modern Art (MoMA) di New York mette in mostra la computer art con Thinking Machines: Art and Design in the Computer Age, 1959–1989. “Macchine pensanti” in grado di creare opere d’arte non sono una novità, ma questa mostra guarda a un passato recente per raccontare come hardware e software abbiano cambiato il modo di fare arte e anche, in qualche modo, la sua percezione. Da novembre le opere di artisti come John Cage e Richard Hamilton saranno affiancate a quelle di grandi designer informatici.

 

Amit Sood, il capo di Arts & Culture di Google: «Digitalizzo l’arte per renderla cool»: Amit Sood lavora per Google ed è a capo del progetto Arts & Culture, la piattaforma che raccoglie online i capolavori digitalizzati con l’ ambizioso obiettivo di rendere l’arte dei musei accessibile a chiunque. Tra gli addetti ai lavori non mancano le critiche ma hanno già aderito all’iniziativa più di 1.400 musei in 70 Paesi (80 italiani). Amit Sood racconta al Sole 24 ore la nascita del progetto e le sue potenzialità. Da leggere!

 

L’iniziativa del MOMA di San Francisco. Manda un sms al museo e ricevi la foto di un’opera: Il Museo d’Arte Moderna di San Francisco (SFMOMA) si è inventato un modo originale e “intimo” per comunicare con i suoi visitatori. Jay Mollica, Creative Technologist del museo, racconta come tutto sia partito da una domanda: «In un mondo sommerso dalle informazioni, ci siamo chiesti: in che modo possiamo creare delle connessioni personali tra i diversi tipi di persone e le opere in collezione?». Con gli SMS! I messaggi di testo connettono gli utenti direttamente al museo e li coinvolgono con contenuti sempre nuovi e stimolanti.